Lloyd Cole without the Commotions

Allora, altrove si postano i dieci migliori video di Lloyd Cole in occasione del suo ritorno in Italia, in concerto a Roma. Lo scorso 3 Aprile era tornato in Italia con lo Small Ensemble, alla chiesa di Sant’Ambrogio e noi c’eravamo.

Mettiamo un po’ di canzoni, scelte tra quelle escluse dal Post, concentrandoci sulla fase meno nota della carriera, quella senza i Commotions.

Loveless, dal primo album omonimo:

e No Blue Skies

Butterfly, dal disco con l’orchestra, Don’t get weird on me, babe

e Man Enough

Dello stesso periodo è anche questa cover di Chelsea Hotel di Leonard Cohen

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Rapid Eye Movement (1980-2011)

E così, si sono sciolti. Li avevo conosciuti 25 anni fa, a tempi di Lifes rich pageant. E non mi avevano mai lasciato, anche se negli ultimi tempi… Beh, pareva che la musica non gli interessasse più.

E allora, scorriamo tutti i loro LP, di cui ho inserito una canzone per ognuno in questa playlist su youtube.

httpv://www.youtube.com/playlist?list=PL9247A610A07BE625

Il primo LP è, appunto, Lifes rich pageant. È il quarto dei R.E.M., ma è il primo che ho acquistato. Il disco mi piace ancora molto e non c’è canzone che non amo riascoltare. La canzone scelta è Begin the begin, anche se io mi porterei anche I believe nell’isola deserta.

Dopo acquistai Murmur, di cui sentivo sempre tutta la prima facciata (era 33 giri, ai tempi). Della seconda facciata sentivo solo Sitting still e Shaking through che ho scelto per la playlist.

Il successivo album, Reckoning, album che non mi ha esaltato e di cui ho inserito Harborcoat, la canzone iniziale.

Invece Fables of the reconstruction è sempre stato il mio preferito per le atmosfere un po’ campestri e dissonanti: ho inserito una versione live di Wendell Gee, la canzone che chiude il disco e una delle mie preferite, nonostante il gruppo stesso non la ami.

Da questo punto in poi ho acquistato gli album appena uscivano ma Document mi deluse, nonostante i big hits The one I love e It’s the end of the world as we know it (cover magistrale di un pezzo di Ligabue :-)), da cui ho estratto Welcome to the occupation, perché, a parte i due hit, era il pezzo che preferivo.

Il passaggio da indie a mayor, dalla IRS alla WB, non cambia nulla, se non nel budget che i REM spendono nei video. Pubblicano Green, di cui inserisco You are the everything, una delle canzoni in cui Stype non prende (quasi) mai fiato.

Il grande successo ottenuto con Out of time, naturalmente, mi ha un po’ destabilizzato, se non altro perché penso che il disco non sia uno dei migliori (e i miei amici dovevano sopportare le mie cassette con i pezzi degli album precedenti mentre loro volevano sentire solo Shiny happy people). Ho inserito Near wild heaven perché la canta Mills.

Automatic for the people, il primo acquistato in formato CD, invece, è magnifico, triste e suggestivo, come la sua canzone finale, Find the river.

Monster faceva casino, ma non mi ha mai soddisfatto, nonostante esordisse con What’s the frequency, Kenneth?, una canzone con un gran video!

Uno degli album più sottovalutati dei REM è New Adventures in Hi-Fi, di cui E-bow the letter mi ricorda le tristi serate in trasferta di lavoro.

Da qui in poi, la perdita di Berry mi ha allontanato dai REM. Comunque ho inserito:

Rio e psichedelia

RioDi Rio, il nuovo romanzo di Leonardo Colombati, dottori, parlo in altra sede. Qui vorrei solo approfittare di un divertissement che l’autore si concede a pagina 271 per estrapolarne una serie di canzoni per roiordie. Sotto l’influsso di una non precisata polverina magica, il protagonista comincia a vedere un susseguirsi di cose strampalate sotto cui si celano una miriade di riferimenti nascosti a gruppi psichedelici. Iniziamo a svelarne partendo da un personaggio strano che si avvicina ad un microfono insieme ad bassista ed a un nano in velluto cremisi. Si presentano: sono Lord Cornelius Plum, Sir John Johns e The red Curtain, i falsi nomi sotto cui gli XTC hanno firmato i dischi come The dukes of stratosphear. Colombati non accenna a nessuna canzone in particolare ma il vostro Zuck ama Vanishing girl. Lord Cornelius parla di una nave di cristallo, riferendosi chiaramente a The Crystal ship dal primo album dei Doors. Si nutre di Electric Prunes e di bucce di banana. Si riferisce ai giardini di delizie come Garden of earthly delights degli XTC (ancora!). I biechi blu di Yellow Submarine e i cancelli dell’alba di The piper at the gates of dawn dei Pink Floyd (Zuck sceglie Astronomy Domine). E continua ancora, ma Zuck si ferma, se qualcuno volesse dargli una mano a decifrare anche gli altri, basta che acquisti e legga il romanzo di Colombati che non è nemmeno male, tutt’altro.
Per finire questi musici improvvisati si mettono a cantare. Cosa cantano?
Ma White Rabbit dei Jefferson Airplane, naturalmente.

Eccomi!

Ed ecco il mio primo post su ROIORDIE, sono un pochino emozionata, ma andiamo subito subito al sodo…
Il mio suggerimento per fare spesa e scorpacciata di godibilissima musica?
Una versione (gratuita) di “Castel Made of Sand”, di Hendrix del 1967, riarrangiata reggae (scaricatela qui), un po’ estiva e tanto creativa, come i veri castelli di sabbia che si possono vedere tutti gli anni alla Gara che si tiene a Jesolo, costruiti con qualsiasi cosa, olive, bandierine dei cocktails e stuzzicadenti, stessa creativita’ che si riscontra nei giri di basso della canzone e… Come non inseguire la melodia?
…E a proposito di sogni, creativita’ ed espressivita’, sole sabbia, vento mare, meraviglia e leggende…
Cercate, ed inseguite, le pentole d’oro (oro simbolo di preziosa musica, in questo caso) sotto l’arcobaleno, con i Rainbow nel brano: “Catch the Rainbow”:

Ride the wind to the sun
Sail away on ships of wonder

E per finire, per rilassarsi quando ci si perde un po’ di vista: “Soul to Squeeze” dei Red Hot Chili Peppers

Where I go I just dont know,
I got to, got to, gotta take it slow.
When I find my piece of mind,
I’m gonna give you some of my good time.

A questo punto caricate il vostro MP3/IPod/ o qualsiasi congegno elettronico abbiate per immagazzinare musica e..
PLAY!

Marquee Moon

Sono passati trent’anni dal settantasette, e si vedono in giro le prime celebrazioni. La pietra miliare di quell’anno, uscita nel febbraio del 1977, è sicuramente Marquee Moon dei Television. Nonostante l’anno, non è un album di punk, ma piuttosto figlio di quell’art rock chitarristico (?) che in seguito generò la new wave. Fin dall’inizio di See no evil si intuisce quale sia la cifra stilistica di tutto l’album: l’intrecciarsi delle due chitarre di Tom Verlaine e Richard Lloyd sostiene il cantato strozzato del leader. Quello che ne esce è un rock metropolitano, perfettamente aderente all’alienazione delle grandi città. E, in effetti, i Television sono figli della grande mela e figli dei Velvet Underground, sono influenzati da White light white heat e influenzeranno uno dei capolavori di Lou Reed, New York.
Come pure, sul versante più commerciale, gli Strokes di Is this it?.
Beh, insomma, andate in un negozio di dischi, anche non virtuale, e ascoltate See no evil o la title track Marquee Moon, poi mi saprete dire.
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Korn @ MTV Unplugged

Era il 1994 quando io ed i miei amici più che provinciali, di una provincia dove in quegli anni quasi neanche si riusciva a vedere MTV, scoprivamo la serie MTV Uplugged e la scoprivamo col botto! I Nirvana ad MTV, acustici: una cosa che per dei minchioni com’eravamo noi era stata tanto traumatica quanto bella! Come scoprire il sesso ma con Carmen Electra, una cosa così…

Poi gli anni passano, tu, tutto sommato, provinciale non ti senti più perchè i tempi son cambiati, le compagnie pure, ora viaggi di più, leggi, hai la tv satellitare e passi notti a guardare tutte le minchiate trendy che succedono dall’altra parte del mondo, hai l’ADSL flat e ti scarichi i podcast più fighi che trovi. Insomma c’hai lavorato su e tutto sommato sei abbastanza soddisfatto.

Una sera, ad un’ora abbastanza tarda, sei in poltrona, stai meditando se fare un’ultima scanalata sul satellite o buttarti a letto quando decidi di fare un’ultimo giro da 704 in su, sui canali musicali, giusto per abitudine. MTV Hits niente, solito Hip-Hop con enormi neri accompagnati da gnocche imperiali che, anche se non capisco le parole di preciso, stanno dicendo quello che dicono sempre:

…prendi una bottiglia di Cristal e aprila fra le tette della tua troi…
…spara a chi ti riga l’Hummer…
…io sono il pappa e voi le mie galline…

a volte la musica non è neanche male, ma molto più spesso è sempre uguale e molto mediocre, sicuramente la ricchezza sarà nelle sfumature del testo che, me ne spiaccio sinceramente, purtroppo non colgo. Andiamo avanti, passiamo a MTV Brand New, eccoli! STOP! Ci risiamo. Sono in pieno déjà vu, il 1994 è qui con me, non mi ha mai lasciato, Kurt Cobain è con me sul divano e tutti e due stiamo guardando i Korn ad MTV nella loro sessione Unplugged.

Ora, io non so se tu che leggi sei un fan dei Korn, io, ad esempio, non lo ero in modo particolare fino a pochi giorni fa, ma comunque stiano le cose fra te e i Korn io ti consiglio di ascoltare e possibilmente acquistare quest’album assolutamente, anzi tieni d’occhio il palinsesto di MTV (satelitare e non) perchè nei giorni successivi alla messa in onda che ho visto io hanno già fatto delle repliche, oppure vai qui.

Che cos’ha di speciale questa performance? Cominciamo dagli ospiti: Amy Lee degli Evanescence in Freak On a Leash e Robert Smith dei Cure in Make Me Bad / In Between Days, passando poi agli strumenti fra i quali, solo per elencarne alcuni, troviamo tamburi Taiko, seghe ed un gruppo d’archi ed ottoni.

La migliore al primo ascolto? Throw Me Away con i Taiko drums Ensamble.

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Titoli stupefacenti

Le rockstar hanno sempre avuto un rapporto contrastato con le droghe: la maggiorparte delle dichiarazioni è tesa a smentire quello che il loro comportamento pubblico evidenzia senza pietà.
Ma ci sono anche delle canzoni che portano la droga in primo piano, fin dal titolo.
Come, ad esempio, il famoso riff di Cocaine di JJ Cale, portata al successo da Eric Clapton.
Agli antipodi, sia come sostanza sia come attitudine artistica, ci stanno i Velvet Underground con Heroin, descrizione quasi onomatopeica degli effetti del buco.
Un po’ più vecchio stile sono i Rolling Stones con Sister Morphine scritta, oltre che da Jagger-Richards, anche da Marianne Faithful.
E poi c’è Lucy in the Sky with Diamonds, che, come il titolo promette, immerge i FabFour nella nascente psichedelia. Ah, dici che la droga non c’entra niente, è tutto merito/colpa di un disegno di un bimbo?
Certo, certo, ma quante zollette s’è fatto, ‘sto bimbo?
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Talkin' about a revolution

Gli anni sessanta americani saranno per sempre etichettati come quelli della rivoluzione. Della nascita dei movimenti hippy e pacifisti.
Iniziamo con Bob Dylan e The times they are a-changin, annuncio dell’avvento di una nuova generazione di cui la vecchia dovrà tener conto. Siamo nel 1964 e la canzone anticipa i tempi e lo stesso Bob Dylan prenderà strade che lo porteranno lontano dal movimento di protesta nascente.

Come mothers and fathers
Throughout the land
And don’t criticize
What you can’t understand
Your sons and your daughters
Are beyond your command
Your old road is
Rapidly agin’.
Please get out of the new one
If you can’t lend your hand
For the times they are a-changin’

Passiamo al 1967 con For What It’s Worth dei Buffalo Springfield, canzone che illustra la tensione sempre più crescente tra manifestanti e forze dell’ordine.

There’s something happening here
What it is ain’t exactly clear
There’s a man with a gun over there
Telling me I got to beware
I think it’s time we stop, children, what’s that sound
Everybody look what’s going down

Però già nel 1969, troviamo le prime incrinature nel movimento, quando la denuncia dal basso in Fortunate Son dei Creedence clearwater revival viene perfino tacciata di qualunquismo reazionario.

Some folks are born made to wave the flag,
Ooh, they’re red, white and blue.
And when the band plays “Hail to the chief”,
Ooh, they point the cannon at you, Lord,

It ain’t me, it ain’t me, I ain’t no senator’s son, son.
It ain’t me, it ain’t me; I ain’t no fortunate one, no.

D’altra parte, la mitica Wooden ships (1969) uscita in contemporanea nell’esordio omonimo di Crosby, Stills and Nash e in Volunteers dei Jefferson Airplane, fotografa impietosamente la perdita di mordente degli ideali sessantottini, dove la diserzione simboleggia una resa ed una evasione verso lidi troppo vicini ai paradisi artificiali.

If you smile at me, I will understand
‘Cause that is something everybody everywhere does
in the same language.
I can see by your coat, my friend,
you’re from the other side,
There’s just one thing I got to know,
Can you tell me please, who won?
Say, can I have some of your purple berries?
Yes, I’ve been eating them for six or seven weeks now,
haven’t got sick once.
Probably keep us both alive.

Wooden ships on the water, very free and easy,
Easy, you know the way it’s supposed to be,
Silver people on the shoreline, let us be,
Talkin’ ‘bout very free and easy…
Horror grips us as we watch you die,
All we can do is echo your anguished cries,
Stare as all human feelings die,
We are leaving – you don’t need us.

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